Monte Velino

Chi la chiama "direttissima" chi la "via del canalino", di certo è la traccia più diretta e verticale alla vetta.
Da Massa D'Albe a Colle Pelato per fievoli e intuitive tracce, si sale il ripido versante Sud seguendo il sentiero n°6 che scorre a ridosso della dorsale di cresta, traversi erbosi, frequenti balze di calcare compatto con facili passaggi di arrampicata e stretti canalini, l'avvicinamento sempre in cresta alla croce di vetta, ancora piccole paretine e diversi salti di quota; discesa sul versante Nord e lungo traverso fino al Cafornia; rientro per le coste del Cafornia e il sentiero n°7 fino a fonte Canala. La suggestione dei bramiti dei cervi che ci hanno accompagnato durante l'avvicinamento alla salita e durante il rientro a Massa D'Albe.


Ogni volta, tutte le volte che si buttano giù le idee di una escursione per il week end successivo due domande mi aspetto sempre, la prima: ma un po’ più in alto… dai ancora è tempo bello saliamo qualche bella cresta, la seconda: ma sul Velino dove possiamo andare? Marina è così, cerca orizzonti vasti ed è appassionata al Velino quasi quanto i Sibillini, non è una bestemmia se dico che ormai forse anche di più. C’ho pensato poco o niente e non so come mi sia venuta così di getto la proposta che accoglieva tutte e due le sue speranze: sul Velino più o meno … ormai… ci rimane la direttissima, vuoi salire il Velino per la direttissima e rientriamo dal Cafornia per la dorsale Sud? Un anello, più in alto di così quasi non si può arrivare, un dislivello da far paura e tanti chilometri, sembrava a me una provocazione. Indovinate un po’? Gli occhi si sono illuminati, era già sul PC a controllare le previsioni meteo, con un sorriso da qua a là; e stamattina, sono quasi le 8, siamo al parcheggio in fondo al paese di Massa D’Albe, così, senza nemmeno un indugio e averci ripensato una seconda volta. Che vuoi di più da una donna direte voi? Alle 8 in punto di una splendida mattina settembrina senza una nuvola imbocchiamo il sentiero comune ai numeri 4, 5, 6, 7, 7A, 8 e 9, ci sono tutti, sono riportati sul palo dell’impianto luce all’ imbocco della carrareccia; quota 900m. circa e ci aspettano i 2487m. del Velino, per fortuna in questi momenti non si pensa mai a ciò che si ha davanti. Già dal parcheggio in paese si sentono forti e tanti i bramiti dei cervi, in questo periodo impegnati nei corteggiamenti e nel richiamare le femmine; sulla strada che porta a Fonte Canala dobbiamo dare la precedenza ad una mandria di mucche intenta ad una migrazione poco spontanea, sono spinte da un mandriano cha tra urla e nerbate è molto convincente; da subito ci sembra che la città sia lontana anni luce. Intorno a quota 1000m. dove la strada devia sulla destra verso la fonte, prendiamo diritti su quella che sulla carta è una traccia secondaria; di tracce ce ne sono a bizzeffe ma più che sentieri danno l’impressione di essere percorsi battuti dagli animali, sulla carta corre verticale a fianco al vallone Rosso che punta direttamente il Cafornia, di fatto finiamo a salire per linee logiche puntando il limite del bosco di abeti che coprono Colle Pelato, un evidente e ben riuscito esempio di rimboschimento. Quasi a quota 1300m. dopo aver superato una miriade di tracce orizzontali, troppe per essere veri sentieri anche un versante pur vasto come questo, incrociamo la larga carrareccia che viene da Fonte Canala e che prendiamo a seguire direzione Nord-Ovest, in piano verso sinistra; dopo meno di un chilometro, la segnaletica sempre puntuale ci fa deviare di nuovo in salita, a destra e all’interno di un’ampia radura. Salendo diretti verso la montagna, tra momenti di boscaglia e bassi cespugli verso il profondo canalone che divide il Cafornia dal Velino, cerco di capire dove possa correre la linea di salita, è molto difficile immaginarlo, il canalone è praticamente impraticabile o quasi visto l’evidente salto roccioso che si inerpica violentemente su lisce placche poco dopo l’imbocco, inevitabilmente si porterà sulla sinistra e si arrampicherà sul ripido fianco del monte, non rimaneva che andare a scoprire dove. Impressionano i versanti di questa montagne mentre ti ci infili nel mezzo e arrivi lentamente alla base, il sentiero rimane marcato e i segnali sono sempre molto precisi ad evidenziare ogni incrocio, poco prima dell’imbocco del canalone si stacca sulla sinistra il n°5, per la grotta di San Benedetto e sempre per la vetta del Velino, la seconda delle due direttissime per intenderci. Il sentiero n°6 continua ancora un po’ in salita, quasi si infila nell’imbocco del canalone, meno marcato continua all’interno di una piccola radura, devia sulla sinistra e prende ad inerpicarsi su un ghiaione ormai consolidato da una vegetazione bassa e diffusa (+2 ore dalla partenza); frequenti tornanti uno più ripido dell’altro su un costone roccioso fanno prendere rapidamente e aggiungerei scomodamente quota, fino a raggiungere la dorsale principale un centinaio di metri più in alto. Circa a quota 1400 m, l’orizzonte si allarga su tutta la valle sottostante e anche su Colle Pelato, ormai ridotto ad una collinetta boscosa. La traccia è evidente solo nell’immediate vicinanze, qualche segnale a qualche decina di metri lo anticipa puntualmente ma la linea di salita non è affatto intuibile, grosso modo, tra qualche salto deciso e piccoli traversi non si discosta molto dalla linea della dorsale che sale a sinistra del canalone. Qualche traverso breve, tornanti, ripidi pratoni si alternano a brevi salti rocciosi in cui necessariamente occorre usare le mani per arrampicare, per chi ama terminologie alpinistiche si rimane sempre in condizioni di appoggio, con tanti appigli sicuri e mai con gradi di difficoltà superiori al secondo. Qualche facile canalino si incontra lungo la salita, aggirandolo si sale uno sperone roccioso molto panoramico che aggetta direttamente sul canalone e a parte l’accentuata pendenza del percorso la salita sarà così fino quasi a quota 2000m. nessuna esposizione che possa recare problemi ma un passo sicuro è sempre dovuto; così in poche parole descriverei la salita fino a sotto le prime fasce rocciose intorno a quota 2000m. La costante di tutto questo tratto della salita è il senso di enormità, di verticalità, di vastità del versante Ovest del Velino, l’incombenza costante delle enormi corone rocciose che dominano dall’alto; ci si rilassa in pochi momenti se non quando ti fermi per riprendere fiato o per godere degli orizzonti che si allargano con una velocità impressionante o quando iniziano a volarti sopra la testa le diverse copie di Grifoni che si lasciano portare dalle correnti ascensionali che si vanno formando con la temperatura che lentamente aumenta. Arriviamo sotto la corona rocciosa (+ 1,15 ore), placche lisce ci sovrastano letteralmente e non ci permettono di vedere sopra, segnali e frecce dipinte ad altezza uomo indicano il percorso che gli scivola a fianco senza una traccia precisa. Mentre salivo, cercando di intuire la direzione che avremmo preso, pensavo che ci saremmo addentrati nell’ampia pagina del vallone che scende direttamente dalla vetta ed invece i segnali ci portavano dalla parte opposta, a destra, verso il canalone tra Velino e Cafornia per capirci, dove per farla breve sembrava essere il regno delle placche, della roccia e di ancora più forte verticalità. Era tutto nuovo per me, conoscevo l’esistenza di un “canalino”, che dà anche il nome a questa via, lo stavo aspettando ed ogni rientranza nella parete pensavo fosse il momento per doverlo affrontare, c’era ancora da aspettare per quello. Superiamo le placche molto molto appoggiate ma lisce e con pochi appigli, ritroviamo il sentiero che continua a girare e traversare intorno alla montagna e sopra placche più estese e più verticali, che disposte quasi fossero uno scivolo incutono un po’ di ansia, occorre abituarsi in fretta ad una verticalità che si va accentuando. Ci troviamo il sentiero sbarrato da uno spigolo che superiamo su una paretina di circa quattro metri, è piena di appigli ma leggermente esposta ed è l’antipasto del piatto succulento ed eccitante che sta per arrivare; da questo momento si continuerà su una traccia sempre evidente in un ambiente misto roccia e terreno erboso, la cui sola costante è la spiccata verticalità sempre appoggiata. Sulla roccia si arrampica mani e piedi, l’esposizione diretta non c’è ma netta è la percezione che si sta salendo rapidamente, sui tratti erbosi praticamente si scaletta su gradoni molto alti, ad un certo punto mi ritrovo le scarpe di Marina, che è a meno di un metro, ad altezza occhi. La via di salita si trova all’interno di un canale discretamente ampio e poco lineare di un centinaio di metri circa, fino a che non si chiude su una arco di alte e lisce pareti, dove una sottile spaccatura lascia intuire l’inizio del canalino (+45 min). Molto stretto e molto alto si insinua tra lisce e verticali pareti, sono intuibili dal basso vari restringimenti che seguono tratti più ampi ed erbosi, non se ne vede la fine ma si intuiscono tratti più ripidi ed altri più appoggiati. Il momento più complicato di tutto il canalino è forse l’attacco, se non se ne intuisce il giusto approccio; lo fa bene Marina che legge bene un segnale un po’ discosto la roccia, si porta a destra, sullo spigolo di un basso sperone che contiene il primo tratto della strettura, arrampica in discreta ma sicura esposizione, gli appigli sono tanti, e in un attimo è sopra, dove inizia il vero budello del canalino; non lo faccio io che mi infilo subito nella stretta fessura dove una panciuta roccia aggettante mi impedisce di trovare appigli per sollevarmi. Fatico un po’, col senno del poi devo dire che mi serve anche per studiare un po’ gli approcci giusti all’arrampicata, poi trovo i giusti appoggi dove fare leva, sono sopra anche io. Nell’imbocco del canalino vero e proprio, anche se non se ne sente il bisogno di utilizzarla, è stesa una corda di pochi metri che è fissata più in alto, può tornare utile a chi ha gamba corta per superare il primo saltino (raccomando di testarla prima perchè è piuttosto vecchia); strettoie dove il problema più grosso è trovare un appiglio per le mani e far passare lo zaino, si alternano a più ampi tratti dove la vegetazione riprende la rivincita sulla roccia, qualche salto da superare mani e piedi, in qualcuno occorre applicarsi e trovare le giuste posizioni e i giusti appigli per fare leva, sono divertenti da salire e a forza di risolvere le varie situazioni, tutte molto sicure non ci accorgiamo nemmeno che siamo fuori dal canalino; l’uscita è in bilico su un tornantino ormai ritornato sentiero, davvero un po’ esposto, anche se il rischio si limiterebbe a quello di un ruzzolone di pochi metri. L’affaccio è appassionante, pochi passi e il canalino che ci lasciamo dietro non è più nemmeno intuibile se non per la discontinuità tra il tondo e levigato sperone che chiude la dorsale secondaria e aggetta sul vallone e quella principale della montagna che ci incombe sopra sulla sinistra; sul ripido versante, tra erba e roccia, molti sono i segnali bianco rossi ad indicare il sentiero contorto, sembra dirigersi e chiudersi su un muro di roccia difficile da approcciare e che precipita sull’imbuto ghiaioso che altro non è se la testata del vallone che abbiamo sfiorato alla base della montagna; dalla parte opposta dell’imbuto ghiaioso la tonda vetta del Cafornia, da qui è già evidente la croce di vetta. Con frequenti tornanti, ora ripidi ora meno, si raggiunge facilmente la dorsale rocciosa, dove qualche spiraglio favorevole ci fa già intuire la grossa croce del Velino verso Nord; ci sorprende quanto sia ancora lontana. La dorsale, sale con continui salti girando verso Nord, dall’uscita del canalino fino alla croce forse non raggiunge il chilometro, ma vuoi il dislivello già salito, vuoi quello da salire che ci sembra tanto, ancora circa 300m, vuoi l’adrenalina che presto viene meno, le gambe diventano pesanti e la vetta sembra non avvicinarsi mai. Molto rocciosa, sempre ampia, qualche passaggio su qualche brevissima cengia, qualcuna poco esposta, pochi i tratti di sentiero degno di questo nome ma si sale bene; sotto ogni salto da superare la vetta sparisce e sembra sempre di dover salire una montagna nella montagna, la stanchezza sta giocando il suo ruolo e diventa ora più che mai importante rimanere concentrati per non fare scemate. Come sempre accade, quando l’ultima gobba della dorsale è superata e appare la vetta, tutte le stanchezze spariscono d’incanto, gli ultimi duecento metri sono più piani e consentono di godersi a pieno l’avvicinamento, una liberazione autentica; come sempre la cima del Velino è ffollata, e come sempre arrivare in vetta al Velino ha il suo perché, soprattutto questa volta da questo versante e da questo irto sentiero (+ 1,40 min). Rimaniamo in vetta una mezz’oretta, ce la siamo meritata, vento fresco ma non troppo, giornata bellissima, orizzonti vastissimi, il Velino di oggi rimarrà indimenticabile; non può non andare per un attimo il pensiero ad Enza, scomparsa pochi mesi fa, che con Gerardo è diventata ormai leggenda salendo questa montagna più di 1000 volte. L’anello che avevamo intenzione di compiere per ritornare a Massa era lungo, dovevamo rimuoverci e in fretta, scendiamo sulla dorsale Nord, sulla via “normale” del Velino, raggiungiamo la dorsale sotto cui si allarga la valle dei Briganti e prendiamo a traversare verso il Cafornia, gustandoci la vista di tutta la cresta che avevamo percorso per salire il Velino, osservando quella valle ghiaiosa tante volta vista tra Cafornia e Velino ma oggi finalmente con un connotato più preciso conoscendo il suo percorso finale verso Massa. Chiudiamo il traverso sulla selletta del Cafornia, rimaneva l’ultima salita della giornata sulla vetta del monte omonimo alla sella, breve, una manciata di metri, eppure quasi sacrificale, (+ 50 min); cima molto frequentata e conosciuta come i panorami intorno, mi soffermo sulla cresta del Velino, dall’uscita del canalino in poi, oggi guardo quel tratto di montagna con occhio diverso. Il tempo passa veloce ed i colori sono già quelli del pomeriggio, quelli del sole che vira verso tonalità calde, non potevamo indugiare oltre, c’erano da scendere quasi 1500 metri. Verso Sud prendiamo il sentiero 7A, impossibile non tornare ai ricordi di un paio d’anni fa quando lo percorremmo al contrario; segnali bianco rossi aiutano ad imboccarlo con facilità, con una serie di tornanti scende ripido e insidioso per il breccino e il pietrisco che lo rendono scivoloso, notevole l’affaccio su Cimata di Fossa Cavalli e sull’ampia conca erbosa; quando scendiamo i primi 400m dello spigolo (+40 min) le ginocchia hanno già di che lamentarsi, Costa Cafornia che dovremo percorrere completamente è uno scivolo erboso che sembra interminabile, piccoli ometti formano una linea perfetta da seguire, di fatto un sentiero non esiste, ogni tanto una bandierina, in condizioni di visibilità servono a niente, ma in caso di nebbia su questo enorme paginone erboso avrebbero sicuramente la loro bella utilità. Prima di abbassarci buttiamo un ultimo sguardo sulla corona di rocce che formano la Cimata di Fossa Cavalli che tendono sul rosa e sul rosso, il pomeriggio che si inoltra dona calore alle rocce ed incendia i pratoni arsi. Fantastica quiete in cui il tempo sembra fermarsi. Le ruvide e ripide pareti del Peschio Rovicino, verso cui la costa sembra appoggiare sono lontane, quel che è peggio sembra non si avvicinino mai; un ometto alla volta, una bandierina alla volta ci abbassiamo e ci portiamo alla fine del lungo costone erboso, quasi sul limitare del vallone Rieltello, dove bandierine e ometti ed ora anche un sentiero formato piegano verso Sud-Ovest, verso una piccola sella già visibile dove andremo ad incrociare il sentiero n°7 (+ 30 min). Uno sguardo indietro al Cafornia, o meglio alla massiccia dorsale che sale verso la sua cima, sembra lontanissimo, le distanze le sentiamo tutte nelle gambe e nelle ginocchia. Sulla selletta, in un silenzio struggente e in una solitudine assoluta finiamo le scorte di panini che avevamo con noi, più che la fame a vincere era l’esigenza di fare una sosta. Ripartiamo aggirando la costa in piano, ora gli orizzonti si aprono verso la valle sottostante, verso Forme e sul rifugio di Casale del Monte seicento metri più in basso. Il sentiero traversa veloce, la traccia è molto chiara, battuta, rocciosa, qualche tornante, molti segnali bianco rossi e poi una miriade di piccole tracce, forse anche in questi casi dovute al passaggio degli animali oltre che allo scorrere dell’acqua, distolgono spesso dal sentiero principale. Una di queste decidiamo volutamente di prenderla, la seguiamo con lo sguardo fin tanto è possibile, ripida ma evidente per lunghi tratti sembra accorciare molto il percorso, potevamo in ogni caso osare una rapida anche se sconnessa discesa senza sentiero fosse andata male. Marina la imbocca e dopo un bel scendere e varie altre svolte improvvisate e tutte azzeccate trova il modo di planare a valle senza patemi mentre il sole sta virando al rosso, mentre riprendiamo a sentire i bramiti dei cervi che sembrano provenire da ogni direzione. Raggiungiamo il rimboschimento sopra fonte Canala e continuando a costeggiarlo la raggiungiamo (+45 min); riempiamo le bottiglie anche se rimaneva davvero poco per chiudere il giro. La strada che scende da Fonte Canala è molto sconnessa, solo grossi 4x4 possono utilizzarla, fin tanto non appiana e ritorna una comoda carrareccia; il sole allunga le ombre degli alberi, scalda il paesaggio e i bramiti sono sempre più insistenti, ora provengono dal versante di Colle Pelato e appartengono ad almeno 3 o 4 esemplari. Arriviamo alla macchina entusiasti di questo anello e di questa salita, una bella esperienza, 17 km circa in totale ed un grosso dislivello superato di 1635m, 8 ore e 30 minuti, numeri che fanno bene al nostro ego. Questa che in molti chiamano la “direttissima” al Velino, non è sicuramente la più bella escursione che si possa fare su questo gruppo montuoso, di contro è una di quelle che dà più soddisfazione dal punto di vista della prestazione, entusiasmanti i tratti in cui si superano la corona di rocce e il canalino; l’impegno è notevole, va evitata nei periodi estivi molto caldi e in inverno, quando le forti pendenze e le tante placche rocciose potrebbero creare non poche insidie. Di certo deve starci nel curriculum di un’escursionista del centro Italia.